RIO CONGO

EDITORIALE: LA STORIA SCORRE NELLE ACQUE DEL RIO CONGO

 

Il 24 ottobre del 1996, l’esercito del Ruanda oltrepassa il Lago Kivu ed entra nel territorio dello Zaire. L’obiettivo è di annientare gli eserciti di ribelli che, da anni, passano il lago per terrorizzare Kigali. Il governo centrale, a Kinshasa, è incapace di reagire: il feroce dittatore Mobutu Sese Seko è malato, i suoi ministri e luogotenenti sono corrotti ed incapaci. Nei giorni successivi, anche l’esercito dell’Uganda, del Burundi, dell’Angola e dell’Eritrea. Nel maggio del 1997 l’esercito angolano entra a Kinshasa, Mobutu scappa, lo Zaire smette di esistere, sostituito da uno Stato fragilissimo, chiamato Repubblica Democratica del Congo, guidato da uno degli uomini più fidati di Mobutu, Laurent Desiré Kabila.

La situazione di precario equilibrio dura solo un anno e mezzo, dopodiché Kabila decide di tentare la liberazione del paese, ed attacca le milizie ribelli disseminate nella parte orientale del paese. Stavolta l’Angola è dalla sua parte, perché il padre padrone, a Luanda, José Eduardo Dos Santos, teme l’invasione dell’enclave di Cabinda, alla foce del Rio Congo – l’area più ricca di risorse minerarie dell’Angola. La seconda guerra del Congo produce 5,4 milioni di morti tra caduti in battaglia, morti di fame e di malattia. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, è la più grande strage conosciuta dall’umanità.

Il nuovo Congo è uno dei paesi più grandi e più ricchi del mondo per risorse ambientali e minerarie. Gli stessi avvoltoi che, per anni, hanno spolpato la vicina Angola (Francia, Stati Uniti, Israele) si avventano sulle grandi possibilità offerte da un’area geografica grande quanto la metà dell’Unione Europea. Bastano le tangenti al clan di Kabila, e la protezione alle decine di gruppi militari ribelli che controllano piccole regioni ricchissime, e vivono di ricatti, pirateria e contrabbando.

Alla fine delle due guerre, e dopo l’assassinio di Kabila – cui succede il figlio Joseph – l’intervento della comunità internazionale e la strenua difesa degli interessi industriali di un numero sempre maggiore di multinazionali, la Repubblica Democratica del Congo ritrova un fragile equilibrio, basato sulla non belligeranza tra Stato e gruppi ribelli, tra Stato e criminalità organizzata, tra Stato e aziende estere. Nei 18 anni di questa condizione di transizione, l’intero mondo guarda al Rio Congo – uno dei fiumi più profondi del pianeta, quasi 5000 km di acque per la maggior parte navigabili, il secondo fiume africano dopo il Nilo. La Cina costruisce una rete di strade e di città che dovranno collegare il porto di Matadi (non lontano da Kinshasa) con i porti lontani dell’Egitto e dell’Eritrea, la Francia lavora per trasformare quel piccolo porto fluviale in uno snodo logistico internazionale.

Oggi quell’equilibrio non basta più. La Repubblica Democratica del Congo ed i suoi paesi limitrofi (specie il Ruanda e l’Angola) sono diventati l’area di crescita più promettente del pianeta. Il dominio del clan Kabila è terminato, ed ora si lavora per cancellare, finalmente, i ribelli, la criminalità organizzata e restituire salute, istruzione e dignità alla popolazione. Naturalmente, tutto ciò accade con gli scossoni ondivaghi che fanno parte della tradizione del continente africano, da secoli ostaggio del colonialismo e di vertici politici servili e corrotti. È un momento storico cruciale, anche perché il nuovo governo di Kinshasa, sorprendentemente, sembra aver acquistato consapevolezza e, per la prima volta, invece di combattere guerre inutili cerca di convincere gli Stati limitrofi a combattere la guerra più importante: quella per difendere l’ecosistema e riappropriarsi delle proprie ricchezze naturali, per metterle a disposizione degli africani. Uno sviluppo che non possiamo non seguire con attenzione ed entusiasmo.

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